martedì 30 novembre 2010

Bravo, anche alla Fine

Certo la giornata che hai scelto è perfetta, la pioggia fina fina che non smette, i giovani che bloccano Roma  e tanti pseudo giornalisti che hanno scambiato il rione Monti con Avetrana. 

domenica 28 novembre 2010

Pasta e patate (che si mangia in cucina)


La ricetta varia da regione a regione, da  paese a paese, da casa a casa, e capita spesso che nella stessa casa ne esistano varie versioni, a volte per quanti sono i componenti della famglia, immaginatevi le discussioni.
 Io la faccio così, ingredienti: cipolla, aglio, patate (meglio se vecchie), pasta (mista che ora si trova raramente, vanno bene gli avanzi tutti diversi di taglio piccolo o spezzati), carote, sedano, due pomodori di quelli appesi (vanno bene anche in scatola), scorza di Parmigiano, olio, sale e pepe, un ramo di rosmarino.
 Preparare un brodo  con carota, sedano, una cipolla e una patata.
 Soffriggere poca cipolla e poco aglio, per mezzo minuto, non devono imbiondire, aggiungere le patate precedentemente tagliate a cubetti e asciugate con lo straccio. Girare spesso con un cucchiaio di legno,  se no s'azzeccano. Far cuocere le patate senza farle rosolare, fate attenzione che non vengano fritte. Non stare al telefono inutilmente, non impelagarsi in altre faccende casalinghe, non lasciare mai gli occhi dalla pentola, al massimo accendersi una sigaretta o un bicchiere di vino per chi non fuma, però potete parlare con chi gradite. Questo è un piatto che si ''deve guardare'', nel senso che si deve sempre assistere.
 Aggiungere la pasta mista, un mestolo di brodo e girare ancora, man mano che la pasta cuoce aggiungere altro brodo, tenere la parte  liquida sempre poco più alta della pasta che intanto cresce, continuare a girare.
Recuperare dalla pentola qualche pezzetto patata, schiacciatelo con una forchetta e rimettetelo a cuocere, farà da collante e la renderà più consistente.
 Quasi alla fine aggiungere i due pomodori tagliati a unghia, la scorza vecchia di Parmigiano a pezzetti e un ramo di rosmarino. Se vedete una bella minestra densa, sicuri di come ''l'avete guardata'' (se non è così buttate tutto e fatevi un panino), potete anche spegnere quando è al dente, dopo aver aggiustato di sale.
Lasciare raffermare nella pentola coperta per cinque minuti,  un po' di pazienza, non vi eccitate, aspettate. Intanto potete apparecchiare per esempio o avvantaggiarvi iniziando già a pulire la cucina. Impiattate e macinateci un'anima di pepe.
 Dunque, la pasta e patate, si mangia in cucina.
 Ne ho avuto anche conferma qualche anno fa, da una persona a me cara.
 Non si mangia in sala da pranzo, è un piatto per gli intimi non  per i pranzi ufficiali o le tavole imbandite. Bisogna apparecchiare nella giusta e semplice misura, solo l'essenziale, ciò che effettivamente serve e non tirare fuori quel po' di argenteria che negli anni avete trovato a Porta Portese.
 La pasta e patate è l'esaltazione della semplicita popolare e va celebrata così, sennò non è pasta è patate, è un'altra cosa.
 Non a caso non è mai servita nei pranzi al Quirinale. Mai, eppure il Presidente la conosce, ma che vuol dire? lui non può mangiare in cucina, allora neanche la ordina per i banchetti di Stato e poi francamente credo che ai politici neanche piaccia.
Il vino,  ci vuole quello che ti lascia la bocca e i denti viola, rigorosamente senza etichetta, nei bicchieri della nutella.
 I piatti quelli vecchi, da tutti i giorni.
 La tovaglia pulita sì, ma semplice, quella del cassetto della cucina, ma se non c'è va bene uguale.
 Per l'avanzo del giorno dopo esistono un paio di mitologiche versioni. Una  fredda dal frigorifero o dal forno (che quando è spento, in alcune case, specialmente al sud, fa da cambusa), condita solo con un filo d'olio. L'altra ripassata in padella con olio, aglio e peperoncino a fuoco medio alto, ''la dovete sempre guardare'', fino a che non diventa arruscata (rosolata e di colore un po' più scura).
 Io pure oggi l'ho mangiata in cucina,  da solo, avevamo discusso con la mia ex fidanzata, io ho tenuto il punto e pure lei, così ognuno per conto suo.
 Stasera però abbiamo mangiato insieme la cioccolata, intanto che  scoprivamo che basilico ha imparato a togliere gli oggetti dalle scatole e poi dopo rimetterli a posto.


La mia settimana tra cibo e ricordi

di Fabio Picchi

Oggi vorrei essere Ponzese. Non so se avete mai visto i marinai di quella comunità riparare una delle loro reti, con quel loro stare seduti con una gamba completamente distesa e l’altra piegata verso se stessi, quasi sempre sulla banchina di cemento di un porto dove, usando le dita dei piedi e mani leste come una donna esperta in economia domestica, mettono in tensione il filo portante delle loro reti per poi cercare fra le maglie eventuali rotture. Quanta tensione in quei gesti e quanta intenzione in quel loro sapersi districare da eventuali problemi.
Sì, spesso vorrei essere esperto come un marinaio ponzese che guarda il cielo e sa se sarà burrasca o bel tempo dichiarato, se sarà possibile navigare per una nottata di lavoro o se sarà necessario non concedere imprudentemente la propria vita ad un mare capace di ricordarci la nostra insignificanza.
Oggi vorrei essere Ebreo per percepire un brivido da minoranza. Comunità che nella mia città, Firenze, condivide un quartiere con un’anima in parte assolutamente popolare e un’altra decisamente borghese. Quartiere che al suo interno custodisce decine di altre comunità. Quella dei pittori, quella degli scultori, quella degli attori, quella degli architetti e via avanti. L’appartenere ad un qualcosa qui viene facile e comodo portandosi dietro tutti i vantaggi di un generale senso di alleanza.
Oggi vorrei essere Ebreo, perché quando fu costruita la Sinagoga, i cui lavori partirono nel 1872, per tutti era chiaro che il suo profilo doveva e poteva appartenere al profilo della città, chiarendo per bellezza e maestosità il suo appartenere a Firenze. Per la sua inaugurazione tutti i fiorentini, ebrei e non, tenevano in mano per i festeggiamenti una bandiera tricolore dichiarando così la loro volontà di appartenere a una Nazione.
Domenica andrò al mare per ricordare mio padre che non c’è più. Domenica sarò Ponzese.
Lunedì andrò dal mio pizzaiolo preferito e sarò Elbano per quella loro pizza con le acciughe più buona del mondo.
Martedì Driss ci ha promesso un couscous e a fine serata diventeremo tutti Marocchini e continueremo quel discorso sulle banche islamiche di cui mai nessuno parla e sulla loro impossibilità di prestare soldi e di arricchirsi con tassi esosi costringendole così a diventare partner di qualsiasi finanziamento, diventando alleate dei piccoli artigiani, dei commercianti, di chi si vuole comprare la casa, lontane spesso e volentieri, ci racconta il nostro islamico amico, da atteggiamenti di smaccata avidità.
Mercoledì sarò quel che sono sperando sempre di trovare un po’ di allegria in giro, che di questi tempi mi sembra merce rara.
Giovedì mi vedro con Pissi che vivaddio insiste nel voler fare il contadino e che per rendersi più credibile, anche se io gli credo già di molto, si è messo a studiare con successo poesia ma in Ottavina.
Venerdì telefonerò a quell'ebreo di Caffaz per farmi raccontare la pastella del suo baccalà fritto e per trascriverlo in maniera indelebile nella mia memoria, sotto la casella “salare l’olio dove poi friggerai dopo aver assaggiato un primo pezzo di baccalà per raggiungere perfetta salatura”.
Sabato voglio fare il grullo, il grullo del paese, quello che fa finta di non capire niente e che sa poi sommergerti con una risata ridicolizzante, non certo per sua follia ma per le nostre tante ridicolezze. Sabato voglio fare il grullo perché mia nonna si divertiva quando da ragazzo mi scalmanavo e lei dalla finestra mi apostrofava affettuosamente: “Dai, non fare il grullo”. Con un malcelato senso di approvazione mi riportava all’ordine tenendosi però lontana dalle conformistiche assenze di un’affettuosità borghese. Ed era pane olio e sale, pane struscicato col pomodoro sporcato di basilico, olio e due gocce d’aceto e alle volte un pane e zucchero bagnato d’acqua e a sua volta sporcato da due gocce di un vino rosso che tingeva il tutto di un rosa violaceo che sapeva di proibito.
Domenica mi riposo perché in questi giorni ho avuto l’influenza, ho fatto un trasloco, pioveva come Dio la manda, pioveva a catinelle, veniva giù che sembravano funi. Ma sono andato ad abitare fra le stelle, in cima al monte dove vedo Santa Croce, dove sento le sue campane, dove vedo la Sinagoga, dove vedo il mercato di Sant’Ambrogio, non vedo ancora la Moschea ma so che c’è, dove vedo tutta la bellezza e la complessità del vivere insieme. Domenica mi farò invitare da un amico e gli chiederò di farmi il pollo fritto. Perché sapete, lo lascia in infusione dentro un trito di salvia, rosmarino e aglio con del succo di limone per una nottata intera per poi friggerlo con una pastella, anche quella segreta che lui racconta essergli stata insegnata da una, dice lui bellissima, donna livornese di cui però per buona educazione e senso di riservatezza nulla ci vuole raccontare.

Fabio Picchi

sabato 27 novembre 2010

Un po' Woody

Oggi stavo parlando con la mia amica napoletana di Ferrara. Discutevamo sul bigottismo di certa gente rispetto alla prostituzione. Un palazzo intero che si è ribellato perchè una ragazza riceve silenziosamente clienti in casa. Ci stavamo chiedendo a chi davano fastidio questi signori, che si recano al secondo  piano di un condominio in via Aurelia, se non alla  marale cattolica dei condomini?  
 Quando io per prendere le distanze da loro me ne sono uscito così: grazie a Dio sono laico.
E lei: grazie a Dio sono laico, non si può sentire.


P.S. Poi mi sono ricordato di quando sono stato bambino, vicino casa ci stavano delle signore sui marciapiedi, tutte le sere, neanche tanto giovani, con il fuoco acceso vicino, di solito incendiavano i pneumatici delle automobili, quei bugiardi dei grandi ci avevano fatto credere che aspettavano l'autobus. Ma mai nessuno si era permesso di mandarle via

giovedì 25 novembre 2010

In pescheria

Tante sono state le cene che ho fatto in questi anni, che per molto tempo, alla pescheria Galluzzi, hanno creduto fossi un ristoratore, e tanti che leggono questo blog lo sanno.
 Stamattina ci sono andato ed ho comprato tre etti di gamberi rossi, due etti e mezzo di mazzancolle, erano vive, una spigola di mare che pesava più o meno 800 grammi (se avanza la congelo per basilico ho pensato), e 400 grammi di vongole veraci.
 Di solito le spese che faccio io quando invito gli amici pesano parecchio di più , così la signora della pescheria mi fa: ''te sei comprato solo poche chicche, ma a chi hai invitato, siete n' pochi?''
 Ed io: ''si stasera ho invitato a cena la mia ex fidanzata, voglio fare una bella cena di crudi, come piace a lei, una pasta vongole e parmigiano (non vi scandalizzate per il formaggio, è un piatto succulento, come diceva Wojtyla ai papa boys, non abbiate paura) e apparecchiare una bella tavola, con un bel mazzo di fiori, che è molto tempo che non l'ho fatto''.
 ''E tu moje nun te dice niente? te c'hai na creatura''
 ''Infatti sono la stessa persona, se ci rifletti mia moglie è anche la mia ex fidanzata'' le ho risposto.
 ''Aho fai bbene, è così che se deve fa, er matrimonio è come na pianta, uno sa deve curà sempre, je deve da ll'acqua, si no se secca'' mi ha detto.
Via Venezia ore dieci e trenta

mercoledì 24 novembre 2010

Nuova grafica

Sì perché i mutamenti, sul blog come per il resto delle cose, sono fastidiosi solo all'inizio, poi dopo un po' ti abitui, ti piacciono di più e ti dici: ma come ho fatto per tutto quel tempo a non cambiare mai.
 E non è detto che sia l'ultimo. 

martedì 23 novembre 2010

Più o meno alle sette e mezza di sera

Poi per mesi e forse per anni, ogni volta che ci saremmo incontrati, ci saremmo fatti sempre la stessa domanda: ''dov'eri a quell'ora? e che stavi facendo?''.
 Si, ce lo siamo chiesti, forse per esorcizzare uno spavento o forse è stato solo un modo per sentirsi un po' più un popolo.
 Più o meno alle sette e mezza  di quella sera là, Antonia se ne stava nel corridoio a gambe divaricate (da bambina faceva danza classica e si vede ancora) cercando di non cadere, con il lampadario che dondolava e gli armadi che sbattevano, fino a quando non è andata via la luce ed è scappata giù in strada.
 Andrej, era solo in casa e stava guardando ''domenica sprint'' alla tv, credeva che tutto quel casino fosse uno scherzo di sua sorella, c'ha messo un po' a capire, poi è scappato in spiaggia, dove si son ritrovati con tutta la famiglia.  La bella Carmela, sedici anni napoletani, stava badando solo al movimento delle anche e a come cadeva la gonna, mentre passeggiava su e giù per via Caracciolo, non si poteva accorgere di quello che stava succedendo.
E neppure Salvatore s'era accorto di niente, mentre correva con la macchina gialla dentro l'auto scontro, nella villa comunale  Nel carcere di Poggioreale, approfittando dell'obbligatoria apertura delle celle, i cutoliani facevano una strage di camorristi della vecchia guardia. Gianni, che oggi è un bravissimo costumista, stava giocando con suo fratello a ''mamma e figlio'' sotto il tavolo della cucina, si era travestito col grembiule di sua madre.

 Vincenzo stava chiacchierando sotto il balcone di casa sua, ha sentito un vento caldo ed ha visto gente scappare, si è messo pure lui a correre, poi si è girato e ha visto il balcone crollare.

 Cinque ragazzi che da lì a poco sarebbero diventati gli Avion Travel, se ne stavano andando a zonzo per Caserta ascoltando musica punk dentro una 126.

 Io, ero uscito con Amelia, era la terza volta  che ci uscivo ed ancora non avevo trovato il coraggio per darle il primo  bacio della mia vita. Avevamo appena visto un film con Celentano (sicuramente di Castellano e Pipolo) e stavamo passeggiando sul lungomare di Castellammare proprio gli ultimi secondi che era ancora una bella cittadina, poi urla, polvere e clacson. Avevo trovato comunque il modo di accompagnarla a casa con tutto quel casino, senza farmi vedere dal fratello grande e dal padre e poi chiedere un passaggio per casa mia. Arrivato, mia madre e mia nonna, spaventatissime, per poco non mi facevano anche una mazziata, che mi ero allontanato da casa senza avvisare.  Michele, che frequentava assai la parrocchia, si stava facendo la sua prima sega in bagno, con la foto di Corinne Cléry su playboy. C'ha messo anni per crederci, che non era stata colpa sua, che Gesù non c'entrava niente e non era stata una maledizione come gli aveva detto il prete.  Gennaro il figlio del tabaccaio, si era appena avvicinato col passo felpato ad una macchina vicino al fiume, con una coppia di innamorati dentro e stava per fare la sua prima rapina.  Mio fratello stava studiando, mio fratello ha sempre studiato, anche la domenica.  Eleonora, era uscita appena dalla chiesa e ci era subito rientrata quando aveva visto gli alberi cadere.  La professoressa Martone, che stava al secondo piano della casa, ha preso sua figlia in braccio e si è immediatamente spostata sotto l'arco, ha atteso che finisse tutto e si sono portate al centro del cortile. Si è chiesta almeno per una decina di minuti dove fosse finito il marito, il notaio Caldoro, fino a quando non lo aveva visto sbucare e lui urlando aveva detto: ''scappate il terremoto'', ancora ci ride, che il marito se n'è accorto un quarto d'ora dopo.  Chi in macchina, chi in tenda, chi nel fienile, tutte queste persone, a parte i carcerati,  hanno trascorso la notte fuori domenica 23 novembre 1980, chi per soli tre giorni, chi per una settimana non sono tornati a casa.
 Adesso, sono passati trent'anni e io quei giorni fuori li ricordo benissimo. Ricordo benissimo quel senso di precarietà, era precaria pure l'aria.  Non c'era, in quei giorni, lo spazio privato, non c'era proprio spazio, quel poco che c'era lo dovevi condividere. La casa per cinque persone poteva anche essere una Fiat 127.  Mangiavamo solo zuppe di fagioli o ceci, si perchè quelli secchi ci vuole molto a cuocerli. Così le donne furbamente entravano in casa, mettevano i pentoloni sul fuoco e riuscivano, ci tornavano dopo tre ore. Poi gli sciacalli, si chiamavano così già allora. Si stava tutti insieme, vicini, la borghesia di provincia con il sotto proletariato (che allora esisteva ancora), e pure i cognati che non si salutavano per strada. 
 Il professore Boccia, il mio professore di lettere, è stato sempre un uomo molto attento all'impegno civile, tra le tante cose il pomeriggio insegnava agli analfabeti, odiava tutte le arroganze. Uno di quei giorni lo vidi in un campo, che condivideva  pasto e parole con un feroce capo zona.  A pensarci adesso non era poi così freddo, ma sentivi freddo lo stesso, perchè i poveri hanno freddo e diventi  povero quando vieni privato di qualcosa ed hai paura.

lunedì 22 novembre 2010

O rraù


A differenza di quello alla bolognese che utilizza carni già macinate. Il ragù napoletano (rraù, in dialetto)si fa con pezzi interi, muscolo di spalla e collo di manzo. Spuntature di maiale, polpaccio, capocollo e un pezzo di lardo (purtroppo).
 Si soffrigge la cipolla, si aggiunge un po' di lardo e i pezzi di carne tagliati molto grossi, si lasciano rosolare per una mezz'ora e poi si aggiunge il pomodoro. Una volta raggiunta l'ebollizione si lascia cuocere per sei/otto ore a fuoco molto basso (a candela), fino a che la carne non si scioglie. Per la pasta, ci vogliono gli ziti spezzati a mano. Una bella grattuggiata di parmigiano, un po' di pepe e la pirofila arriva in tavola ancora fumante. Visto il tempo per la realizzazione è un piatto tipicamente festivo. La tradizione vuole che si divida in due tempi, si inizia il sabato pomeriggio e si continua la cottura la domenica mattina.
 Un paio di volte l'anno, quando fa freddo, mi piace prepararlo ed invito gli amici a pranzo, così per ricordarmi le domeniche di una volta e per ricordarmi da dove vengo. Il pomeriggio finisce poi davanti al fuoco con le castagne, a chiacchierare e bere vino.
 Poi puntualmente il lunedì mi pento, si perché è vero che cuoce in otto ore, ma ci vogliono anche otto giorni per digerirlo.

mercoledì 17 novembre 2010

Di mamma non ce n'è una sola


L'antico ricatto della madre è stato sempre: di mamma ce n'è una sola. Poi in più quella napoletana, aveva anche il proverbio: una madre cresce cento figli e cento figli non crescono una madre.
Oggi non è esattamente così.
Jen fa la madre surrogata. Presta il suo utero a chi non può avere figli. Si fa impiantare l'ovulo fecondato e lascia crescere la vita nella sua pancia. Porta dentro di se bambini destinati ad altri. Dice: ''non lo faccio per soldi, ma perchè a diciott'anni, per sbaglio, sono rimasta incinta, e quando è nato il mio bambino mi sono sentita felice come non mai''. Trova ingiusto che ci siano persone alle quali questa felicità è negata. Ogni volta che partorisce piange in silenzio perchè è finita, perchè è stata dura, perchè è stato bello, ma in nessuna di quelle lacrime c'è dolore.

Una vita tranquilla

Nonostante Servillo, che ormai fa solo ''Servillo che recita Servillo'', simulacro di se stesso, mi è sembrato un bel film, con un bel tema interessante e ben scritto.

martedì 16 novembre 2010

Tulipani







Anche i fiori hanno la loro stagionalità. Quando arriva il freddo mi piacciono i tulipani e ci vado avanti fino a quando è primavera.

Ancora Vieni via con me

Ma  il segretario del PD sapeva di trovarsi in una trasmissione televisiva di successo?
Mi sa che non ne ha convinti molti ad andare via con lui.

Vieni via con me

Fini e Bersani. Se si fossero scambiati i fogli con gli elenchi dei valori della destra e della sinistra, nessuno se ne sarebbe accorto.

lunedì 15 novembre 2010

Il giocattolo


Oggi hai piacere di regalarle un giocattolo, è un po' che non lo hai fatto e così trascorri parte del pomeriggio per capire, insieme alla venditrice della Città del sole, cosa potrebbe piacerle alla sua età. Ti trovi tra le mani giochi ingegnosi, stimolanti, oppure  morbidi o con la musica o forse quelli che credi siano adatti a una femmina. Ti lasci cosigliare e alla fine contentissimo vai a casa con un bel pacco.
  Appena varchi la soglia, ti guarda e ti sorride. Insieme a te inizia a scartare il regalo. Lo trova, sorride di nuovo e comincia a toccarlo. Lo scopre subito, lo scopre nel senso che smette di scoprirlo, smette di prestarci attenzione, tu speravi che ci mettesse un po'. Invece lo scopre e dopo poco quel giocattolo è già vecchio. Non le interessa più, se ha un po' di interesse è solo per la carta, che è leggera e fa rumore, ma dura poco comunque.
 Il giocattolo dopo, finirà in uno dei due cesti.
 Ogni tanto, siccome non te ne fai una ragione, ne prendi uno, tiri fuori tutti i giocattoli, peluches, libri di pezza, varie forme geometriche di legno e poi ti accorgi che dopo già mezz'ora non ne vuole pìù sapere.
 Così, li raccogli di nuovo e rimetti tutto a posto.
 Ti sdrai sul pavimento e inizi a giocare ''tu'' con lei: cammini a quattro zampe, balli. Oppure fai finta cercarla ovunque (anche nei cassetti), di non vederla e poi la trovi. Te la metti sulle spalle, diventi un cavallo e te ne vai in giro per la casa, vai di fronte a uno specchio e si fa un sacco di risate, non ha ancora capito che è lei stessa riflessa. Ti nascondi dietro il divano o dietro una porta. Bubu settete, resta sempre un grande classico. La prendi in braccio e la porti a vedere i gatti sul terrazzo, le fai sentire il profumo del basilico che quest'anno ancora resiste e non lo dimentichi che il pianeta si è davvero surriscaldato. Poi ci sono le canzoni, devi sempre cantare, i testi li inventi, non si accorge che la stai truffando. Per le melodie, va bene anche Baglioni, meglio di  Paul Simon Mrs Robinson, eppure un po' di Zecchino d'oro, Il caffe della Peppina per esempio. Ti sdrai ancora sul pavimento e strisci come si fa in guerra, anche sotto il tavolo, ma a te, a differenza sua, ti fanno male i gomiti, intanto che hai lucidato il parquet con i tuoi vestiti.
 Lei non si annoia e si diverte che non smette più di ridere è vero, può andare avanti per ore e la domenica è passata così, intanto che ti senti un meraviglioso giocattolo vivente.



venerdì 12 novembre 2010

Dino, il figlio del pastaio che voleva fare l'attore


Poi, vite che non ti riguardano decidono di andarsene, dopo tanti anni. E allora sei dispiaciuto e non sai neanche tu perchè. Ci pensi meglio e ti rendi conto che non sei dispiaciuto per loro, ma perchè insieme a loro se ne va un'intera epoca, che ti ha fatto sognare e alla quale eri affezionato. 

giovedì 11 novembre 2010

Il rispetto e la stima

Ieri sera stavamo chiacchierando io e  la mia ex fidanzata, come dire... del più e del meno. Quando per indicare un'altra  persona, mi sono espresso così: ''a quella non gli va di lavorare''.
Immediatamente lei mi ha ripreso: ''ti prego non chiamarla quella, un nome ce l'ha e tu sai qual è, si chiama Luisa''. Io le ho fatto un cenno con la testa, indicando un ''si è giusto'', se non altro perchè stimiamo la persona di cui stavamo parlando.
Stamattina al Gr3 ascoltavamo un'intervista al Presidente del Consiglio. Di prima mattina riuscivo non solo a sentirlo, ma anche a vederlo, lo immaginavo sotto la pioggia con l'umidità che gli scioglieva il fard sul volto liftato e quella polvere che si mette in testa per infoltire i capelli che non ha, gli creava una colata marrone sulle basette.
Quando io ad un certo punto ho pensato ad alta voce: ''questo quando parla mi confonde, mi ricorda la Guzzanti quando imita Berlusconi''. La mia ex fidanzata mi ha sentito, ma stavolta non ha ritenuto opportuno corregermi.

martedì 9 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010

E' autunno

Quello nuovo, appena fatto pizzica un po'.
E poi piace alla mia ex fidanzata.

Caro Francesco

Sabato sei novembre
 Bologna, Canzone di notte n. 2, Eskimo, L'avvelenata, La locomotiva, Canzone per un'amica.
 Eppure tutti questi ragazzi, che ti amano, non erano neanche nati negli anni in cui le hai scritte.
 La tua lirica sa della migliore poesia, come diresti tu. Ed i poeti non piacciono solo agli adulti. 
 Grazie, per avermelo ricordato.

sabato 6 novembre 2010

giovedì 4 novembre 2010

Goran. Ma proprio in Veneto? e alla Lega non ci pensi? ma perchè non te torni a casa tua.

ANSA/MALTEMPO: GORAN E GLI ALTRI, IMMIGRATI NEL FANGO PER VICENZA
(ANSA) - VICENZA, 4 NOV -

 Il ritorno alla normalita' della citta' di Vicenza dopo l'alluvione passa anche attraverso il lavoro incessante di centinaia di volontari, braccia di italiani ma anche di immigrati, fianco a fianco in mezzo al fango.
E' il caso di Goran, originario dell'ex Jugoslavia, impegnato in centro storico a smassare detriti da uno scantinato. "Da qualche mese sono disoccupato - racconta all'ANSA - . Per fortuna non ho avuto problemi alla mia casa, visto che abito al secondo piano, ma mi e' sembrato giusto aiutare chi e' stato meno fortunato di me". L'Associazione Immigrati di Vicenza si era messa disposizione sin dal primo giorno per dare il proprio contributo di sudore e fatica. "Sono stati ammirevoli - sottolinea l'assessore all'ambiente e alla sicurezza Antonio Marco Dalla Pozza - nel lavoro svolto in zona Barche, una delle piu' colpite. Sono stati proprio loro a chiederci di aiutare artigiani e cittadini italiani in difficolta"'.
L'opera di tutti i volontari e' stata incessante e si e' rivelata la 'fotografia' piu' autentica di un dramma vissuto da un'intera citta'. Dopo le 377 persone che ieri hanno lavorato fino a tarda sera, oggi si sono presentati altri 180 volontari al mattino e 150 nel pomeriggio. Sono stati divisi in squadre, poi indirizzate nelle zone ancora critiche, in particolare le vie attorno a ponte degli Angeli, viale Diaz, via Divisione Folgore, viale Brotton e nella Riviera Berica, in particolare a Debba. I turni proseguiranno fino a domenica, con ritrovo alle 8, alle 11 e alle 14 alla tenda di piazza Matteotti, che rappresenta la 'regia' urbana delle operazioni.
"Questa e' stata una pagina bella della nostra citta', pur nella disgrazia che abbiamo avuto" sottolinea il sindaco Achille Variati, commosso dalla risposta avuta dal suo invito, al quale hanno risposto soprattutto giovani, ma anche molte donne. A coordinare l'intera macchina organizzativa e' Pierangelo Cangini, assessore alla protezione civile, mentre i volontari sono seguiti direttamente dall'assessore Dalla Pozza. E' lui a raccontare come la fatica abbia messo assieme uomini dell'Esercito e antimilitaristi del presidio 'No Dal Molin'. "In zona piscine - racconta - oggi pomeriggio hanno lavorato assieme i rappresentanti del presidio contrario alla base americana di Vicenza e i nostri soldati". Per Dalla Pozza "straordinaria e' stata anche la risposta degli scout, tutti sotto i 18 anni, che sono stati oltre una cinquantina". "Stiamo per andare a recuperare proprio adesso un gruppetto di loro - aggiunge - che stava lavorando in un garage sommerso da un metro di fango e detriti".(ANSA)

mercoledì 3 novembre 2010

L'ingegner Gadda va alla guerra

Questo spettacolo teatrale è una meraviglia.
 Un racconto profetico, attraverso il quale si rivive parte della vita di Gadda. Prima a capo di una manciata di soldati (1915/18), ci ricorda l'assurdita di tutte le guerre. Poi il ''ce l'ho durismo'' di tutti i fascismi, attraverso le doti di amante/seduttore e della presa/controllo che esrcitava sulla gente Mussolini, che inevitabilmente ci ricorda altri uomini di potere molto più vicini al nostro tempo.
 Gadda, attraverso l'arte e la voce di Gifuni, racconta tutta la paura, il dolore, l'ironia e l'angoscia di una vita non diversa dalle nostre.
 Insomma una rappresentazione da non perdere.
Ma non è questo il punto, perchè l'opera d'arte può anche non incontrare il nostro gusto e il resto non conta.
 L'arte conta però, conta quando il giorno dopo ti svegli e ti senti stimolato, arricchito da nuovi strumenti di critica.
 Se uno spettacolo, un quadro, un concerto, un racconto, anche un buon cibo emoziona i tuoi sentimenti più nascosti, poi, sei portato a rifletterci per parecchio tempo. E ti risvegli al mattino che non puoi fare a meno di pensare e discutere di quello che hai visto o ascoltato la sera prima. Tutto questo, come dice Fabrizio, lo avevano capito già i greci, che avevano inserito il tempo per il teatro, nel tempo dedicato alla produttività e no nel tempo libero.
 Gli artisti per questo hanno una grande responsabilità nei nostri confronti, ci aiutano a riflettere, ci aprono la mente si, e a volte ci fanno anche enormi danni.