martedì 23 novembre 2010

Più o meno alle sette e mezza di sera

Poi per mesi e forse per anni, ogni volta che ci saremmo incontrati, ci saremmo fatti sempre la stessa domanda: ''dov'eri a quell'ora? e che stavi facendo?''.
 Si, ce lo siamo chiesti, forse per esorcizzare uno spavento o forse è stato solo un modo per sentirsi un po' più un popolo.
 Più o meno alle sette e mezza  di quella sera là, Antonia se ne stava nel corridoio a gambe divaricate (da bambina faceva danza classica e si vede ancora) cercando di non cadere, con il lampadario che dondolava e gli armadi che sbattevano, fino a quando non è andata via la luce ed è scappata giù in strada.
 Andrej, era solo in casa e stava guardando ''domenica sprint'' alla tv, credeva che tutto quel casino fosse uno scherzo di sua sorella, c'ha messo un po' a capire, poi è scappato in spiaggia, dove si son ritrovati con tutta la famiglia.  La bella Carmela, sedici anni napoletani, stava badando solo al movimento delle anche e a come cadeva la gonna, mentre passeggiava su e giù per via Caracciolo, non si poteva accorgere di quello che stava succedendo.
E neppure Salvatore s'era accorto di niente, mentre correva con la macchina gialla dentro l'auto scontro, nella villa comunale  Nel carcere di Poggioreale, approfittando dell'obbligatoria apertura delle celle, i cutoliani facevano una strage di camorristi della vecchia guardia. Gianni, che oggi è un bravissimo costumista, stava giocando con suo fratello a ''mamma e figlio'' sotto il tavolo della cucina, si era travestito col grembiule di sua madre.

 Vincenzo stava chiacchierando sotto il balcone di casa sua, ha sentito un vento caldo ed ha visto gente scappare, si è messo pure lui a correre, poi si è girato e ha visto il balcone crollare.

 Cinque ragazzi che da lì a poco sarebbero diventati gli Avion Travel, se ne stavano andando a zonzo per Caserta ascoltando musica punk dentro una 126.

 Io, ero uscito con Amelia, era la terza volta  che ci uscivo ed ancora non avevo trovato il coraggio per darle il primo  bacio della mia vita. Avevamo appena visto un film con Celentano (sicuramente di Castellano e Pipolo) e stavamo passeggiando sul lungomare di Castellammare proprio gli ultimi secondi che era ancora una bella cittadina, poi urla, polvere e clacson. Avevo trovato comunque il modo di accompagnarla a casa con tutto quel casino, senza farmi vedere dal fratello grande e dal padre e poi chiedere un passaggio per casa mia. Arrivato, mia madre e mia nonna, spaventatissime, per poco non mi facevano anche una mazziata, che mi ero allontanato da casa senza avvisare.  Michele, che frequentava assai la parrocchia, si stava facendo la sua prima sega in bagno, con la foto di Corinne Cléry su playboy. C'ha messo anni per crederci, che non era stata colpa sua, che Gesù non c'entrava niente e non era stata una maledizione come gli aveva detto il prete.  Gennaro il figlio del tabaccaio, si era appena avvicinato col passo felpato ad una macchina vicino al fiume, con una coppia di innamorati dentro e stava per fare la sua prima rapina.  Mio fratello stava studiando, mio fratello ha sempre studiato, anche la domenica.  Eleonora, era uscita appena dalla chiesa e ci era subito rientrata quando aveva visto gli alberi cadere.  La professoressa Martone, che stava al secondo piano della casa, ha preso sua figlia in braccio e si è immediatamente spostata sotto l'arco, ha atteso che finisse tutto e si sono portate al centro del cortile. Si è chiesta almeno per una decina di minuti dove fosse finito il marito, il notaio Caldoro, fino a quando non lo aveva visto sbucare e lui urlando aveva detto: ''scappate il terremoto'', ancora ci ride, che il marito se n'è accorto un quarto d'ora dopo.  Chi in macchina, chi in tenda, chi nel fienile, tutte queste persone, a parte i carcerati,  hanno trascorso la notte fuori domenica 23 novembre 1980, chi per soli tre giorni, chi per una settimana non sono tornati a casa.
 Adesso, sono passati trent'anni e io quei giorni fuori li ricordo benissimo. Ricordo benissimo quel senso di precarietà, era precaria pure l'aria.  Non c'era, in quei giorni, lo spazio privato, non c'era proprio spazio, quel poco che c'era lo dovevi condividere. La casa per cinque persone poteva anche essere una Fiat 127.  Mangiavamo solo zuppe di fagioli o ceci, si perchè quelli secchi ci vuole molto a cuocerli. Così le donne furbamente entravano in casa, mettevano i pentoloni sul fuoco e riuscivano, ci tornavano dopo tre ore. Poi gli sciacalli, si chiamavano così già allora. Si stava tutti insieme, vicini, la borghesia di provincia con il sotto proletariato (che allora esisteva ancora), e pure i cognati che non si salutavano per strada. 
 Il professore Boccia, il mio professore di lettere, è stato sempre un uomo molto attento all'impegno civile, tra le tante cose il pomeriggio insegnava agli analfabeti, odiava tutte le arroganze. Uno di quei giorni lo vidi in un campo, che condivideva  pasto e parole con un feroce capo zona.  A pensarci adesso non era poi così freddo, ma sentivi freddo lo stesso, perchè i poveri hanno freddo e diventi  povero quando vieni privato di qualcosa ed hai paura.

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