lunedì 13 settembre 2010

Il triangolo culinario


Claude Lévi Strauss (Il crudo e il cotto, 1964) osserva che le tribù più sono primitive e più non usano cucinare, quindi non hanno proprio la parola per indicare la cottura dei cibi, ma non hanno neanche la parola che indica il crudo, perchè il concetto stesso non può essere caratterizzato.
Crudo, cotto, putrido.
Il crudo è la dimensione naturale per eccellenza del cibo, il cotto ne è la trasformazione culturale e il putrido la trasformazione senza intervento dell'uomo.
La consumazione del cibo avviene con diverse modalità che possono essere più vicine o più lontane alla dimensione naturale pura e a volte a quella artificiale mediata dalla cultura.
Così l'arrosto, che è a diretto contatto col fuoco sarà più naturale del bollito, nel quale l'acqua media tra il fuoco e la materia prima. La cottura arrosto dunque rimanda ai fenomeni naturali del vivere umano, mentre il bollito è l'emblema dell'evoluzione culturale.
Poi c'è il putrido o fermentato, senza intervento alcuno, senza manipolazione dell'uomo, adatto per lunghe conservazioni.
Ma il cibo, secondo il triangolo, si può anche affumicare, pratica che si pone a metà tra la dimensione puramente naturale e quella pienamente artificiale. Infatti, nell'affumicatura la mediazione dell'aria favorisce un contatto maggiore col fuoco, ma dilata il tempo di cottura come nel bollito.
Dunque, l'affumicato ed il fermentato, sono il cibo del nomadismo, dei viaggiatori! - per necessità.
Di fatto, si può dire, che il cotto è una trasformazione culturale del crudo, così come il putrido è una sua trasformazione naturale.
Su questo triangolo primordiale si forma, dunque una duplice opposizione. Quella tra elaborato-non-elaborato, da una parte. Quella tra cultura-natura dall’altra.
In termini strutturalisti queste sono nozioni formali ed esse non ci dicono niente su una certa cucina o una certa società. Solo l’osservazione specifica può farci intendere ciò che è crudo, cotto o putrido e, naturalmente, ciò che vale per una società o una cultura non vale per l’altra. A questo proposito Lévi-Strauss nota due cose, che la cucina italiana ha un idea di crudo più ampia di quella della cucina francese e che nel 1944, al tempo della sbarco in Normandia, i soldati americani avevano un’idea di putrido decisamente diversa da quella francese, fino al punto di arrivare a distruggere delle fabbriche di formaggio normanne che ai loro nasi esalavano un odore di cadavere.
“Operando così”, scrive Lévi-Strauss, “si può sperare di scoprire, caso per caso, in che modo la cucina di una società è un linguaggio nel quale si traduce inconsciamente la sua struttura, a meno che questa stessa società non si rassegni, sempre inconsciamente, a svelare le sue contraddizioni.”
Ecco, qualche volta cade l'occhio nei carrelli della spesa al supermercato, pieni di findus, prodotti precotti e surgelati chissà dove, pomodori senza semi e pasta barilla, non riesco proprio a scoprire qual è la struttura di questa società.
E poi, io pure sono un po' primitivo, che mangio spesso pesce crudo.

Nessun commento:

Posta un commento