giovedì 12 luglio 2012

Tears

Alla fine piangevano tutti. Piangeva Murray, che aveva appena perso la sua prima finale di Wimbledon, piangeva Federer che per l’ennesima volta aveva appena finito di riscrivere la storia del tennis, piangeva il pubblico che ci aveva creduto veramente. Piangeva e applaudiva la  gente nei pub, quelli a casa, e quelli fuori dello stadio, diecimila, tutti ad abbracciare quello scozzese con l’aria da bambino e la mamma al seguito, che ancora una volta era andato così vicino a vincere un torneo dello Slam. Piangeva, poco poco, giusto gli occhi lucidi, il Primo Ministro David Cameron che domenica mattina davanti al dieci di Downing Street aveva fatto alzare la bandiera scozzese per stargli vicino. Piangeva la fidanzata di Andy, non piangevano però William e Kate. 
Un ragazzo esile e taciturno su cui un popolo si è appoggiato per 15 giorni nella speranza di tornare a sognare. Una pressione che solo a scriverla fa venire da urlare. 
E lui con umiltà scende in campo, ci prova, vince addirittura il primo set e nel secondo ha occasioni per prendere il largo. Davanti però ha Roger Federer, uno che se il tennis non l’avessero inventato darebbe il nome a questo sport tanto lo rappresenta. L’uomo che è stato più a lungo numero 1 al mondo, i cui record sono talmente tanti che fanno venire i brividi.
"Ci sono sempre più vicino”. È riuscito a dire solo questo, poi la gola si è paralizzata in un’emozione mai vissuta prima. Murray guarda il cielo e deglutisce cercando quella calma che non esiste in queste occasioni, Federer si morde il labbro inferiore.
Chi lo spiega ora a Murray che quello che è accaduto domenica è probabilmente la sua più grande vittoria? Un paese, il suo paese, in piedi, ad applaudire, applaudire e piangere il ragazzo che improvvissamente è diventato un uomo.

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