martedì 28 giugno 2011

fragrante e flagrante

Per fare un grande fritto il pesce va cotto in fragrante. Ma anche colto in flagrante. 
 Perché l' essenza della frittura è proprio la flagranza, ovvero la vampata improvvisa che trascolora il cibo e incendia il gusto. A santificare un fiore di zucca in pastella, ad accendere di gloria una triglia infarinata, a far brillare di luce propria un gamberetto, a trasformare un' alice in una meraviglia  è sempre e comunque la frittura. Che fa letteralmente risplendere il sapore. Lo fa deflagrare, ma proprio alla lettera. Perché la parola fritto discende da una lontana radice indoeuropea, che ha a che fare con il flagrare, cioè con tutto ciò che è ardente, sfavillante, incandescente. Calore e fulgore. La stessa radice da cui derivano flamen, nome dell' antico sacerdote romano del fuoco e del fulmine, e l' indiano Brahma. Come dire che un pescetto fragrante e un nume flagrante hanno qualcosa in comune. E infatti pochi cibi sono divini come una frittura eseguita come dio comanda. Umile e prelibato, semplice e raffinato, il pesce fritto è l' emblema di un mangiare democratico. Non a caso il cartoccio di frittura mista è sempre presente dove la vita popolare esplode allo stato fusionale, e confusionale. Nelle piazze, nelle feste, nei mercati. Cibo schietto per una schietta umanità. Come le anciue e i gianchetti che si mangiano nelle friggitorie di Genova tra le volte fumose e lo scuro degli angiporti dove si insinua la nostalgia salata delle creuze de ma. E gli scartossi che si vendono nei tanti fritolini veneziani persi nel labirinto di calli e campielli. Mentre la fragaglia e la paranza napoletane hanno la stessa vitalistica mescolanza, la stessa concitata armonia della città che si specchia nel golfo delle sirene. E a Siviglia, la Feria de abril ha il suo climax nella noche del pescaito dove si mangia esclusivamente pesce appena fritto, bruciante come il canto delle trianeras. Le gitane che friggono e trafiggono con secolare innocenza, con antico istinto sacerdotale. 

Marino Niola





 Li vedi subito quelli che sono veramente interessati a una ricetta. Lo capisci immediatamente non appena ti chiedono: "andiamo a fare spesa insieme?" Così l'altro ieri mattina mi sono ritrovato a Campo de' Fiori con Sylvie, la nostra amica e vicina di casa, al banco di Maria.
 Un mese fa, in una delle tante riunioni a casa nostra con gli altri tetti per la serata del 15 giugno, avevo preparato dei fiori di zucca ripieni che aveva raccolto mio padre dall'orto. Le erano così piaciuti che da allora non faceva altro che chiedermi: quando mi insegni e quando li prepariamo insieme?
 Allora abbiamo fatto la spesa, 40 fiori, un kg di mozzarella di vaccina, un mazzetto di prezzemolo e basta, tutto il resto acqua gassata, farina, uova e acciughe salate le avevo già a casa. Poi visto che dovevamo friggere, non è che uno si impuzzolisce la cucina tutti i giorni, abbiamo comprato un po' di gamberi, così per non farci mancare niente.
 Siamo tornati subito senza restare troppo tempo sotto il sole con la spesa.
 Abbiamo messo i fiori in frigo e tagliato la mozzarella a pezzetti piccoli piccoli e messa a riposare in un colapasta dentro un grande recipiente in frigorifero per farle perdere il latte e poi ci siamo salutati.
 Ci siamo rivisti intorno alle sei, abbiamo fatto a foglie piccole il prezzemolo, non l'abbiamo tritato, poi le ho fatto vedere come si puliscono le acciughe sotto sale, non si lavano troppo e si toglie via la parte più dura vicino alla testa e tagliate sottili per lungo. In tutto questo Sylvie era sempre più eccitata. E alla fine delicatamente partendo dalla punta, io aprivo i fiori e lei dopo che aveva ancora strizzato il composto (mozzarella, prezzemolo, acciughe) li riempiva e li richiudeva.
 Fatto questo ci siamo seduti in terrazza con un bicchiere di vino tra le mani e abbiamo fatto un po' di chiacchiere, sono due settimane che casa nostra e quella di Sylvie e Valerio non si parla d'altro che della serata del 15 giugno che ci ha emozionato parecchio, ed intanto abbiamo atteso gli altri ospiti Ciretto, Lucio e Valerio.
 Abbiamo iniziato a friggere che eravamo già brilli.
 Prima abbiamo preparato una pastella leggera ma densa, acqua gasatissima molto fredda, farina, due uova che servono da collante e sbattuto grossolanamente.
 Olio di semi di arachidi nel wok, quando ha raggiunto la temperatura, immergevamo nella pastella i fiori tenendoli per il gambo, girando pollice e indice al momento che li tiravamo fuori e li immergevamo nell'olio, così il fiore resta chiuso, friggendo sempre poco per volta.
 Man mano che cuocevamo portavamo fuori e poggiavamo tutto su dei piatti grandi con la carta del pane sopra, intanto che loro iniziavano già a mangiare.
 Al momento di cambiare l'olio abbiamo mangiato anche noi, il tempo che rangiungesse la temperatura e poi di nuovo a friggere.
 Alla fine ancora fiori e poi i gamberi sempre lentamente. Frigge sempre poco per volta, chi non ha la friggitrice, perché la temperatura dell'olio non deve abbassarsi troppo. Se scende la   temperatura, accade che il fritto assorbe troppo olio e non diventa fragrante.
 Alla fine ci siamo ritrovati tutti intorno ad un tavolo, in piedi
a mangiare frittura e risate.
 Quando l'ho interrogata era preparatissima, tra le varie domande (le ho fatto una domanda a trabocchetto) le ho chiesto: qual è la prima cosa che fai quando inizi i fiori zucca ripieni? 
Mi ha risposto: mi lavo le mani!
 Brava, esattamente quello che mi dice Neva quando entro nella sua cucina che vado a imparare.
 Poi niente io mio sono svegliato alle quattro che stavo sulla sdraio sotto il ginko.



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