di Fabio Picchi
Oggi vorrei essere Ponzese. Non so se avete mai visto i marinai di quella comunità riparare una delle loro reti, con quel loro stare seduti con una gamba completamente distesa e l’altra piegata verso se stessi, quasi sempre sulla banchina di cemento di un porto dove, usando le dita dei piedi e mani leste come una donna esperta in economia domestica, mettono in tensione il filo portante delle loro reti per poi cercare fra le maglie eventuali rotture. Quanta tensione in quei gesti e quanta intenzione in quel loro sapersi districare da eventuali problemi.
Sì, spesso vorrei essere esperto come un marinaio ponzese che guarda il cielo e sa se sarà burrasca o bel tempo dichiarato, se sarà possibile navigare per una nottata di lavoro o se sarà necessario non concedere imprudentemente la propria vita ad un mare capace di ricordarci la nostra insignificanza.
Oggi vorrei essere Ebreo per percepire un brivido da minoranza. Comunità che nella mia città, Firenze, condivide un quartiere con un’anima in parte assolutamente popolare e un’altra decisamente borghese. Quartiere che al suo interno custodisce decine di altre comunità. Quella dei pittori, quella degli scultori, quella degli attori, quella degli architetti e via avanti. L’appartenere ad un qualcosa qui viene facile e comodo portandosi dietro tutti i vantaggi di un generale senso di alleanza.
Oggi vorrei essere Ebreo, perché quando fu costruita la Sinagoga, i cui lavori partirono nel 1872, per tutti era chiaro che il suo profilo doveva e poteva appartenere al profilo della città, chiarendo per bellezza e maestosità il suo appartenere a Firenze. Per la sua inaugurazione tutti i fiorentini, ebrei e non, tenevano in mano per i festeggiamenti una bandiera tricolore dichiarando così la loro volontà di appartenere a una Nazione.
Domenica andrò al mare per ricordare mio padre che non c’è più. Domenica sarò Ponzese.
Lunedì andrò dal mio pizzaiolo preferito e sarò Elbano per quella loro pizza con le acciughe più buona del mondo.
Martedì Driss ci ha promesso un couscous e a fine serata diventeremo tutti Marocchini e continueremo quel discorso sulle banche islamiche di cui mai nessuno parla e sulla loro impossibilità di prestare soldi e di arricchirsi con tassi esosi costringendole così a diventare partner di qualsiasi finanziamento, diventando alleate dei piccoli artigiani, dei commercianti, di chi si vuole comprare la casa, lontane spesso e volentieri, ci racconta il nostro islamico amico, da atteggiamenti di smaccata avidità.
Mercoledì sarò quel che sono sperando sempre di trovare un po’ di allegria in giro, che di questi tempi mi sembra merce rara.
Giovedì mi vedro con Pissi che vivaddio insiste nel voler fare il contadino e che per rendersi più credibile, anche se io gli credo già di molto, si è messo a studiare con successo poesia ma in Ottavina.
Venerdì telefonerò a quell'ebreo di Caffaz per farmi raccontare la pastella del suo baccalà fritto e per trascriverlo in maniera indelebile nella mia memoria, sotto la casella “salare l’olio dove poi friggerai dopo aver assaggiato un primo pezzo di baccalà per raggiungere perfetta salatura”.
Sabato voglio fare il grullo, il grullo del paese, quello che fa finta di non capire niente e che sa poi sommergerti con una risata ridicolizzante, non certo per sua follia ma per le nostre tante ridicolezze. Sabato voglio fare il grullo perché mia nonna si divertiva quando da ragazzo mi scalmanavo e lei dalla finestra mi apostrofava affettuosamente: “Dai, non fare il grullo”. Con un malcelato senso di approvazione mi riportava all’ordine tenendosi però lontana dalle conformistiche assenze di un’affettuosità borghese. Ed era pane olio e sale, pane struscicato col pomodoro sporcato di basilico, olio e due gocce d’aceto e alle volte un pane e zucchero bagnato d’acqua e a sua volta sporcato da due gocce di un vino rosso che tingeva il tutto di un rosa violaceo che sapeva di proibito.
Domenica mi riposo perché in questi giorni ho avuto l’influenza, ho fatto un trasloco, pioveva come Dio la manda, pioveva a catinelle, veniva giù che sembravano funi. Ma sono andato ad abitare fra le stelle, in cima al monte dove vedo Santa Croce, dove sento le sue campane, dove vedo la Sinagoga, dove vedo il mercato di Sant’Ambrogio, non vedo ancora la Moschea ma so che c’è, dove vedo tutta la bellezza e la complessità del vivere insieme. Domenica mi farò invitare da un amico e gli chiederò di farmi il pollo fritto. Perché sapete, lo lascia in infusione dentro un trito di salvia, rosmarino e aglio con del succo di limone per una nottata intera per poi friggerlo con una pastella, anche quella segreta che lui racconta essergli stata insegnata da una, dice lui bellissima, donna livornese di cui però per buona educazione e senso di riservatezza nulla ci vuole raccontare.
Fabio Picchi
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